Juste avant l’Oubli / Proprio prima dell’Oblio (2015) di Alice Zeniter

Premio Renaudot des lycéens 2015

Classificazione: 3 su 5.

MA NO, LO HA SCRITTO LA ZENITER?? Quest’estate ho comprato questo libro della Zeniter, l’enfant prodige della letteratura francese contemporanea, perché avevo apprezzato moltissimo “L’ARTE DI PERDERE” (2017), sul travagliato vissuto di algerini e franco-algerini, che per me fin d’ora potrebbe figurare tra i grandi classici, e successivamente anche, per la mole dell’impegno e la novità della tematica, “COME UN IMPERO DENTRO UN IMPERO” (2020), sul mondo degli hacker, non ancora pubblicato in Italia. Mi aspettavo perciò un libro “classico”, in cui l’autore persegue la perfetta illusione della realtà – quando addirittura non studia un pezzo di realtà – anche se personaggi e situazioni sono di fantasia o addirittura fantastici, come fa per esempio Magrelli in “Dissipatio H.G.” E invece no.

COSA RACCONTA? Sostanzialmente la Zeniter racconta la fine di un amore, gli ultimi cinque, sei giorni “prima dell’oblio”, e lo fa da par suo, con finezza di penna e di conoscenza di quel guazzabuglio del cuore umano nonostante la sua giovane età, però incastonando questa storia tutto sommato molto semplice negli interstizi fra i discorsi più o meno alambiccati su uno scrittore di libri gialli tenuti dai suoi fan in un convegno organizzato sull’isola sperduta delle Ebridi dove appunto il famoso scrittore, che non sopportava gli uomini, aveva vissuto l’ultima parte della sua vita prima di scomparire (letteralmente).

IL RIASSUNTO. Allora … dunque … I personaggi principali, oltre al defunto romanziere Galwin Donnell, osannato da milioni di lettori e studiosi, incombente su ogni pagina del romanzo e su tutti i personaggi in carne ed ossa, sono tre: Franck, giovane infermiere desideroso di coronare infine il suo sogno d’amore lungo ormai otto anni facendo un figlio con Émilie, Émilie stessa, ex- insegnante di scuola media che ambisce più che alla maternità ad una carriera universitaria come specialista di Donnell, e il guardiano dell’isola Jock, dai capelli rossi come ogni personaggio più o meno maledetto, il quale sta all’isola come Quasimodo sta alla cattedrale di Notre-Dame de Paris. Jock non ha mai visto altro che l’isola ed è selvatico come questo luogo, che odia ed ama al tempo stesso, mentre decisamente detesta quegli intellettuali cittadini chiacchieroni. Franck, che non ha molto da spartire con “la gentry letteraria” riunita sull’isola fa amicizia con Jock, anche lui titolare di un nome che sembra esprimere inferiorità sociale e intellettuale rispetto agli altri (che Emilie gli conferma dicendo ai suoi colleghi che lui è “dottore”) e passa molte ore con lui mentre i professoroni fanno le loro dotte disquisizioni. La sera che Franck raggiunge Émilie in ritardo sulla sua relazione su Donnell per non aver voluto ferire Jock troncando le sue confidenze, il dissidio tra loro diventa aperto e quando poco dopo scopre Émilie in intimità con un fascinoso professore, Franck, sconvolto, cerca rifugio presso Jock. Questi lo assiste quasi come una madre e gli rivela anche di aver lui stesso spinto giù dalla falesia il grande Donnell quando aveva 10 anni: perché era a causa di lui che i suoi genitori e lui non lasciavano quell’angolo deserto di mondo chiamato “l’Oblio”. Qualche giorno dopo Franck rivede Émilie: sono entrambi provati e sanno che l’amore è finito. A questo punto “si sent(ir)ono le grida”: Jock, inopinatamente, si è ucciso buttandosi dalla falesia. Perchè? Non lo so. E francamente non mi sembra che la Zeniter metta insieme abbastanza elementi che possano spiegare questo gesto. Jock soffriva di “depressione”, sì, ma … perché ora? Il suo personaggio è servito solo a favorire il processo di disfacimento del rapporto tra F. ed E.? Mah! Comunque sia, tra la delusione amorosa e la morte di Jock per cui sentiva pietà – lui che porta in sé le stigmate della compassione (come è più volte sottolineato nel testo) – , Franck è profondamente triste e la Zeniter lascia anche planare il dubbio che egli possa seguire l’esempio dell’amico. Senonchè si fa strada in lui “un istinto antico che sfida tutti i nichilismi (…) È una fiducia (…) che userà ogni momento di sonno, ogni sorriso, ogni boccone di cibo per ricondurlo a sé e alla prospettiva che occhi nuovi, un giorno, le réapprennent (non so come tradurlo), lo inglobino e lo salvino – un altro sguardo, uno sguardo sconosciuto, portato oggi da un essere sconosciuto che può essere all’angolo della strada come a Santiago del Cile”. Insomma, banalmente, la vita va avanti.

“KAMA SUTRA INTELLETTUALE”. Come si vede, i fatti sono pochi e la storia è molto semplice, per cui, come Totò, domando e dico: ma era il caso di farci sorbire, a noi lettori, tutti quei discorsi di per sé poco interessanti su un uomo che oltretutto non è mai esistito? Sarà anche una rappresentazione ironica degli ambienti universitari (non una parodia comunque), magari intrecciata con una personale esperienza di vita dell’autrice (si rispecchia in Émilie?), però … uffa! E la dedica, la nota dell’autore e l’esergo iniziali? E tutti quegli eserghi senza alcun nesso rispetto al contenuto del capitolo stesso? Ma la cosa più disorientante e sgradevole non è che non sia mai esistito questo Donnell intorno a cui ruota tutta la storia, bensì che siano inventati di sana pianta – falsi insomma – tutti quegli eserghi, le spiegazioni minuziose, le citazioni tratte da wikipedia o da altri documenti. D’altra parte a Magritte io preferisco … un sacco di altra gente: so che “Ceci n’est pas une pipe”, ma … “c’est tout comme” e per questo mi piace. O, in altre parole, non condivido quel che per Émilie è una rivelazione: “La letteratura è un Kama Sutra intellettuale. (…) una forma di piacere spinta al suo punto di raffinatezza più estremo da scrittori che il rapporto consueto col linguaggio non soddisfa più.” (p. 131). Un divertissement letterario, dunque, piuttosto che un’opera che sgorga dal cuore, e forse per questo di non ampio respiro. Non per caso gli aggettivi “littéraire” e “jubilatoire” occorrono più volte nella conversazione tra lei e un critico letterario che ho seguito su youtube sperando di trovarvi elementi che mi aiutassero a capire questo strano libro. A meno che invece la Zeniter non lo abbia scritto per chiudere elegantemente il periodo difficile della sua vita a cui allude sempre in quella conversazione (la fine di un amore?). Chissà! Per fortuna comunque quel periodo è finito e lei è passata ben presto ad altro e due anni dopo ha sfornato “L’arte di perdere” …

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