TRADITORI DI TUTTI (1966)

nel 1968 riceve il Grand prix de littérature policière per il miglior romanzo poliziesco straniero dell’anno.

Classificazione: 3 su 5.

… di GIORGIO SCERBANENCO (1911-1969)

… nato da padre ucraino morto “durante la rivoluzione russa” – si legge in Wikipedia – e da madre italiana, cresciuto in Italia, orfano molto presto e, dopo aver esercitato vari mestieri, approdato infine al giornalismo (si occupò molto anche della “posta del cuore” per vari giornali) e alla carriera di romanziere (prolifico), attività che gli consentono di mettere a frutto quella facilità di scrittura e quella fantasia da sceneggiatore che mi sembrano evidenti in ogni sua pagina. La penna corre fluida e veloce incalzando i pensieri e le parole dei suoi personaggi, talvolta non separando le battute di un dialogo, disseminando il testo di espressioni sarcastiche magari un po’ facili (p. 162: “Finchè ci sono io le proibisco di usare la violenza! (…) Voglio usarla soltanto io!”), mentre l’occhio sa cogliere l’insieme della scena così come dettagli non significativi ma tali da far pensare ad un occhio “vero”, non quello del romanziere “tradizionale”, il quale coglie e mette in scena solo gli elementi veramente significativi.

Come romanziere, Scerbanenco si specializza nel genere poliziesco, che tradizionalmente in Italia abbiamo sempre chiamato “giallo” in relazione al colore giallo della copertina della collana dei romanzi polizieschi Mondadori fondata nel 1929, e che ora sempre più spesso usiamo chiamare “noir”. Ora, le mie letture in questo ambito si limitano ai gialli di Agata Christie letti in un’estate molto lontana, un paio di libri di Simenon che raccontano un’inchiesta del mitico commissario Maigret (mitico per quelli al massimo della mia età che l’hanno visto in una TV ancora in bianco e nero interpretato da Gino Cervi) e uno di Camilleri. Poi però posso attingere qualche elemento di interpretazione e di confronto in alcuni episodi della serie televisiva del commissario Montalbano, e, infine, nelle voci di Wikipedia dedicate al genere noir e al genere giallo … Sì, insomma, non è davvero molto, ma qualcosa forse riesco a metter giù di non troppo scemo (così si esprimerebbe anche Scerbanenco, che non ha alcuna repulsione per il parlato, anzi!).

CONTENUTO. Innanzitutto “Traditori di tutti” è il secondo volume di una tetralogia il cui protagonista è Duca Lamberti, o semplicemente Duca (non so nulla su questo nome), un medico radiato dall’Ordine dei medici per aver praticato l’eutanasia su una sua paziente malata di tumore, e quindi, fondamentalmente, una vittima del “sistema” e comunque un uomo contro. Però anche, in un certo senso, un “uomo d’ordine”, tanto che durante i tre anni di prigione è diventato talmente amico del commissario Carrua che questi gli consente di indagare per suo conto sia pur affiancandogli l’agente Mascaranti e restando costantemente in contatto con lui, la cui casa è perciò un “ex-abortito ambulatorio medico, e ora segreto, anonimo ufficio di polizia non autorizzato” (p. 149: cose dell’altro mondo, evidentemente, o quantomeno del mondo di Scerbanenco. Grazie alla sua sagacia (intuisce subito la natura degli uomini con cui ha a che fare così come ne vede le malattie), al suo sangue freddo e alla sua determinazione – un po’ anche all’aiuto del poliziotto che lo affianca come un’ancella di sesso maschile, ennesima riedizione della coppia Don Chisciotte e Sancho Panza -, riesce a risolvere il mistero dii tre + uno delitti e a sgominare una potente banda che trafficava armi e droga. Alla fine ha la sorpresa di scoprire che l’autore (anzi l’autrice, come si sa fin dall’inizio del libro) del primo delitto è in realtà dalla stessa parte della barricata dove sta lui, ed è andata persino molto oltre rispetto a lui …

IL PROTAGONISTA. Un anti-eroe, certo, Duca Lamberti, che dobbiamo immaginare coi capelli significativamente rasati quasi a zero (vedi p. 154), però ben lontano dall’essere un personaggio dimesso o semplicemente riflessivo come per esempio Maigret o il più moderno Montalbano, capaci entrambi di godere “i piaceri semplici della vita” quali un buon piatto di pasta con le sarde (ovviamente Montalbano) o una buona pipa (ovviamente Maigret). No, Duca è carico di odio per i criminali a cui dà la caccia perché evidentemente vuole contribuire a ridurre il cancro che divora la società:

Duca guardò la monumentale massa di Claudio Valtraga in terra. Non con odio, lei deve perseguire la giustizia, non la vendetta, sì, si comprende, un uomo capace di fare un tale scempio di un suo simile (…) desta del risentimento, ma la persona civile deve vincere questo risentimento, deve capire che si tratta di disadattati, di persone che se fossero state conventientemente educate non sarebbero arrivate a questo punto. Mai sentito una montagna simile di sciocchezze, pensò (…), e allora il lupo è un disadattato? Convenientemente educato imparerebbe a fare la riverenza e a far girotondo coi bambini? (…) era mai sorto in mente a questi geni che alcuni esseri hanno solo l’apparenza, l’aspetto fisico umano, ma sono in realtà, per ignote e per ora perfino imperscrutabili ragioni genetiche, delle iene, delle belve che nessuna educazione, se non quella della violenza, può rendere meno sanguinarie? (…) Sì, certo Dottor Lamberti, proprio nel Medio Evo pensavano così, vuole tornare nel Medio Evo, lei? Forse sì, comunque adesso non poteva perdere tempo” (p. 196)

Qualora il pensiero non molto politically correct di Scerbanenco non fosse chiaro …:

(…) la legge proibisce di ammazzare le canaglie, i traditori di tutti, anzi specialmente questi devono avere sempre un avvocato difensore, un processo regolare, una regolare giuria e un verdetto ispirato alla redenzione del disadattato, mentre invece si può, senza nessun permesso, innaffiare di proiettili due carabinieri di pattuglia, o sparare in bocca a un impiegato di banca che non si sbriga a consegnare le mazzette di biglietti da diecimila, o mitragliare in mezzo alla folla, per scappare dopo una rapina, questo si può, ma dare un buffetto sulla rosea gota al figlio di baldracca che vive di canagliate, questo no, lo proibisce la legge è male, non avete capito niente di Beccaria, no, lui, Duca Lamberti, non aveva capito niente Dei delitti e delle pene (…) gli sarebbe piaciuto incontrare quelle canaglie, lui glieli avrebbe dati, i buffetti sul viso” (p. 149)

Ed ecco perché rifiuta la rivoltella che Carrua gli vorrebbe dare: “Non mi piacciono le armi, non ci provo gusto, a me piace picchiare” (p. 196). In quanto medico, poi, lui sa come e dove picchiare per ridurre alla ragione persino uno grande e grosso.

L’AMBIENTAZIONE è la periferia milanese degli anni del boom, quando, nella rappresentazione di Scerbanenco, cemento affarismo e vizio (prostituzione e droga) invadono la campagna, quella che con altri accenti descriveva Celentano ne I ragazzi della via Gluck.

C’è qualcuno che non ha ancora capito che il cambio di dimensioni, qualcuno continua a parlare di Milano come se finisse a Porta Venezia o come se la gente non facesse altro che mangiare panettoni o pan meino. (…) Si dimenticano che una città che vcina ai due milioni di abitanti ha un tono internazionale, non locale, in una città grande come Milano arrivano sporcaccioni da tutte le parti del mondo, e pazzi, e alcoolizzati, drogati, o semplicemente disperati alla ricerca di soldi che si fanno affittare una rivoltella, rubano una macchina e saltano sul bancone di una banca gridando: Stendetevi tutti per terra, come hanno sentito che si deve fare. (…) questa torta così dolce che è Milano? È qui a Milano che ci sono i soldi ed è qui che vengono a prenderli, con ogni mezzo, anche col mitra” (p. 142)

Quartiere Gallaratese © Archivio Piero Raffaelli

NOIR O NON NOIR? Tradivano tutti, la madre sul letto di morte, e la figlia in clinica parto, vendevano il marito e la moglie, l’amico e l’amante, la sorella e il fratello, ammazzavano chiunque per mille lire e tradivano chiunque per un gelato, non occorreva neppure picchiarli, bastava frugare nel fondo melmoso della loro personalità e veniva fuori vigliaccheria, canaglieria, tradimento” (p. 172) Poichè il soggetto di quei verbi alla terza persona plurale non è sottinteso, sembra che l’autore si riferisca a tutti gli uomini indistintamente, e in effetti, tranne i poliziotti Carrua e Mascaranti, la sorella di Duca Lamberti, che compare fugacemente, nella galleria di personaggi che sfilano davanti a Duca e al lettore, solo un paio sono caratterizzati da qualche umanità e si tratta di donne vittime di compagni violenti, come la donna sfregiata per la quale lui sembra avere un trasporto amoroso e che immagino ricompaia in un romanzo successivo. Poi però alla fine compare una donna che ambisce a diventare un’eroina. Mah!

Ora, se “il noir è, per sua natura, totalmente privo del finale consolatorio”, come si legge nella voce “differenze tra giallo e nero” in noiritaliano.wordpress.com, allora “Traditori di tutti” non è un noir, giacchè il pessimismo dell’autore circa la società, brulicante di criminali protetti da potenti, in tempo di pace e in tempo di guerra, è mitigato dal finale, che rivela il senso dell’omicidio raccontato nel primo capitolo (il primo di tre, tutti simili, prima di un quarto) e, per quanto poco credibile, sembra voler gettare una luce diversa sull’umanità. D’altro canto però, oltre al pessimismo quasi assoluto che Scerbanenco esprime in ogni pagina, mai in un libro di Simenon o in un film della serie del commissario Montalbano ci aspetteremmo di trovare scene horror come quella in cui si vede in azione una macchina segaossi da macelleria o quella in cui due belve umane piene di droga si divertono a infilzare un uomo con dei ferri da calza … Oppure, più banalmente, non ci si aspetta che colui che dà la caccia ai criminali non esiti a minacciare di morte o picchiare un uomo da cui vuole ottenere informazioni. E neanche che una donna se ne stia a gambe aperte, sigaretta in bocca, in attesa che il dottor Lamberti le ricostruisca l’imene per le nozze del giorno dopo … Per cui, insomma, questo libro di Scerbanenco mi sembra una commistione di giallo e nero: giallo per lo spazio che ha l’indagine in sé, noir per la crudezza di alcune scene e la cupezza dell’atmosfera.

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