HOMO FABER (1957)

UNA TRAGEDIA CLASSICA … IN CHIAVE MODERNA

dello scrittore svizzero-tedesco MAX FRISCH (1911-1991)

Classificazione: 4.5 su 5.

Commentando La chiave a stella di Primo Levi mi è venuto in mente questo romanzo di Max Frisch (architetto, prima di dedicarsi completamente alla letteratura, così come Levi aveva abbandonato il mestiere di chimico per scrivere), e così l’ho riletto, in tedesco a dire il vero, perché oggi le opere di questo scrittore, che a suo tempo è stato famoso anche in Italia, sono fuori catalogo, benché i suoi temi e il suo stile siano tuttora attuali e avvincenti. Segnalo fin d’ora che il regista Schlöndorff ne ha tratto un film, un cui fotogramma si vede qui sopra.


LO STILE è caratterizzato da una sintassi rapida (frasi brevi, spesso ellittiche) ed un lessico “quotidiano” al servizio di una narrazione retrospettiva alla prima persona in forma di annotazioni personali da parte di un personaggio che registra fatti più che sentimenti, citando anche elementi di dettaglio non strettamente funzionali all’azione ma tali da rendere realistica la narrazione. E d’altra parte il sottotitolo è “Resoconto” (o “rapporto”).

QUANTO AL CONTENUTO, fin dal titolo Frisch mette in campo l’uomo in quanto animale tecnologico, manipolatore della materia e signore della natura, però, mentre Primo Levi col personaggio di Faussone esalta l’”homo faber”, trasmettendo al lettore un sentimento di ottimismo rispetto all’umanità e al futuro, Frisch costruisce UNA SORTA DI MODERNA TRAGEDIA GRECA, mettendo in scena un uomo che crede di poter governare il proprio destino e la natura, e così, colpevole di “hybris”, sfida gli dei, provocandone la collera e la punizione. Credo altresì che non a caso la storia di Faber si concluda proprio in Grecia, proprio la Grecia degli antichi templi, che fanno pendant ai templi dei Maya così spesso evocati nella prima parte del libro, ambientata nell’America centrale e meridionale.

IL PROTAGONISTA, Walter Faber, è un ingegnere meccanico che per conto dell’UNESCO si occupa di progetti di sfruttamento di paesi del Terzo mondo, facendo perciò la spola tra capitali occidentali supersviluppate e territori in cui una natura ancora primigenia palesa tutta la sua potenza annichilente (anche sugli Occidentali costretti a vivere lì: Herbert e Joachim), e gli uomini vivono come ai primordi della storia. Faber pensa che gli elementi in gioco siano sempre pre-vedibili in base ad un calcolo delle probabilità e che perciò si possa sapere tutto di sé e delle conseguenze delle proprie azioni. Però come in lui alberga un cancro che non sa di avere e che alla fine lo ucciderà, così nella sua vita c’è una colpa di cui è inconsapevole o di cui forse non vuole prender coscienza, per cui le sue azioni, apparentemente incolpevoli e non concatenate fra loro, costituiscono in realtà una catena di eventi che condurranno fatalmente alla catastrofe finale: la morte della figlia che non sapeva di avere, l’infelicità della madre della giovane, e la sua stessa morte.


QUAL È NELLA FATTISPECIE LA COLPA DI FABER? In sostanza la stessa di Edipo, proprio quello della tragedia di Sofocle, che si credeva esente da colpa non avendo volontariamente compiuto un’azione colpevole, senonché una sua antica azione – l’uccisione di un uomo sconosciuto che però era suo padre – lo porterà a unirsi carnalmente con la propria madre.

Walter Faber, dal canto suo, per la carriera ha non solo rinviato sine die il matrimonio con la sua fidanzata di allora, Hanna, peraltro per metà ebrea (e si è nella prima metà degli anni ‘30; vedi p.46-48), ma anche desiderato e predisposto la morte di quella figlia che Hanna aveva in grembo, motivo per cui Hanna lo aveva lasciato, senza rinunciare alla gravidanza. Senonché il fato ha voluto vent’anni più tardi fare di lui l’amante di quella figlia ignorata.

Sia Edipo sia Faber riconoscono la propria colpevolezza e desiderano la punizione per essere stati ciechi innanzi alla loro colpa: Edipo si trafigge gli occhi e si mette al bando dalla comunità, e Faber dice, in attesa dell’intervento chirurgico: “Perchè non prendere queste due forchette, stringerle ritte nei miei pugni e farci cadere sopra la mia faccia, per liberarmi degli occhi?” (p. 192).

Nella morte di Faber c’è però un elemento che non mi pare ci sia nell’”Edipo re”: Faber desidera sì la sua morte, ma prima di morire conosce la felicità poiché i suoi occhi si sono aperti su tutto quel che fino ad allora aveva rinnegato: bellezza sentimento paura speranza desiderio … (p. 194 e ss.). Davvero alla fine lui “vede la vita con altri occhi”, quella vita che “prima” “ gli scorreva davanti come un film (vedi i tantissimi riferimenti al fatto che lui filma tutto, dai terreni che ispeziona al corpo del suo vecchio amico che si è impiccato ai sorrisi della giovane Sabeth). Dal suo letto d’ospedale scrive infatti: “Non sono solo, Hanna è il mio amico e non sono solo” (p. 198), e in un certo senso Faber Hanna e la loro figlia Sabeth sono infine uniti in una forma d’amore che trascende le contingenze.

STRUTTURA DEL ROMANZO. Il romanzo è articolato in due “Stationen”, parola che può anche significare stazioni di un calvario, ma che qui corrispondono alle ultime due tappe della vita di Faber:

> nella prima (di gran lunga preminente come numero di pagine) egli ricostruisce la catena di eventi “casuali” che uno dopo l’altro lo hanno condotto a conoscere la giovane Sabeth e a intraprendere una relazione amorosa causandone involontariamente la morte, fino alla scoperta della sua paternità;

> nella seconda Faber non cerca più giustificazioni o attenuanti: ha capito che la morte lo attende e ha capito di voler morire là dove sono Hanna e la tomba di sua figlia. In un certo senso liberato da quella cecità che gli impediva di sentire l’umanità delle persone e di amarle invece che sentirsi sempre estraneo o da loro infastidito. Così prende l’ultimo aereo della sua vita, che guarda caso è proprio un Super-Constellation come quello dell’inizio del suo “resoconto”, quello in cui “il fato” fa viaggiare anche il fratello dell’amico di gioventù Joachim, cosa che mette in moto la catena di eventi che porterà alla “catastrofe”. Insomma prima e dopo la consapevolezza della colpa.

N.B. CIRCA LA MORTE DI SABETH. In wikipedia.it è scritto che Sabeth muore uccisa da una vipera: no, lei viene sì morsicata da una vipera, ma è scritto chiaramente che morirà non per il morso della vipera, bensì in seguito alla caduta fatta durante la lunga passeggiata notturna con Faber sulla costa. Però si può certo fare qualche ipotesi sulla valenza simbolica del morso della vipera come elemento che comunque gioca nella morte di Sabeth.


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