LA VIE D’UN HOMME INCONNU (2009)

…di ANDREI MAKINE (scrittore russo vivente, naturalizzato francese, accademico di Francia)

Classificazione: 3.5 su 5.

Bel libro purtroppo non ancora tradotto in italiano, la cui prima parte (p. 9-57) sembra in un primo momento un’introduzione un po’ lunga e un po’ noiosa, ma trova poi un senso nell’insieme dell’opera, il cui tema è solo apparentemente il confronto amaro tra la Russia sofferente di ieri – quella della seconda guerra mondiale, e in particolare del lungo assedio di Leningrado (oggi San Pietroburgo) da parte dell’esercito nazista, durato due anni e mezzo (8-9-41/27-1-44, almeno due milioni e mezzo di morti) e quella delle purghe staliniane e dei gulag – e la Russia post-sovietica, in preda alla frenesia consumistica, tanto più prepotente quanto più pesante e prolungata è stata l’astinenza dal consumismo. In realtà il tema vero è più profondo e più generale, e va al di là dell’analisi storico-sociologica, come spero di riuscire a spiegare.

Il protagonista, lo scrittore Choutov, da lungo tempo trapiantato in Francia, è in un momento di crisi affettiva e professionale: i suoi manoscritti vengono rifiutati dagli editori, la giovane con cui ha una relazione da circa due anni lo lascia. Insomma, rien ne va plus, e nel vuoto in cui galleggia egli si ritrova a rimpiangere il paese natale che ha lasciato non si dice da quanto tempo e perché, il quale per lui ora coincide con un amore giovanile vissuto poeticamente come in una certa novella di Cechov. Vi si reca dunque, avendo rintracciato la sua fiamma di allora, Jana, senonchè quella terra e quella donna oggi sono, nella febbre dell’oro, irriconoscibili: involgariti. Altro che Cechov! Un giorno Choutov si ritrova a dover passare la serata con un uomo vecchissimo di cui finalmente l’indomani Jana e suo figlio si sbarazzeranno liberando così anche quell’appartamento, ultimo sassolino nell’ingranaggio di un’enorme operazione immobiliare. Volski – questo il nome dell’uomo “sconosciuto” ai nuovi Russi – racconta a Choutov le mille sofferenze della sua vita da un lato dolorosa, tra guerra assedio e gulag, e dall’altro lato però illuminata dalla certezza di amare e di essere amato. Amare una donna, incontrarla guardando il cielo, sapendo che anche lei lo guarda per incontrare lui. Amare il bello e la bontà: l’azzurro del cielo, la pioggia di petali dei ciliegi scossi dal vento, il bianco della neve, i bambini … Vedere la fragilità in chi ti fa del male e non odiarlo. Non essere stravolto nella propria intima essenza di uomo umano neanche dalla crudeltà altrui. Un messaggio umanista, direbbero in Francia, quello che trasmette Makine in quest’opera.

p. 210: “Tutto era detto. Queste due storie [quella di Volski e quella della donna amata, Mila]... riassumevano il paese in cui vivevano. Le sue paure, le sue guerre, la nudità disarmata dell’esistenza privata, l’impossibilità di far condividere la sua disperazione. L’estrema difficoltà di credere nella bontà dell’uomo e, nello stesso tempo, la consapevolezza che solo questa fede poteva ancora salvare

Choutov certo non rimpiange la Russia della Seconda guerra mondiale e poi la Russia sovietica, e infatti dice bene quanto atrocemente si soffrisse nell’una e nell’altra. Quel che Choutov-Makine vuol dire – credo – è che, proprio perché gli uomini vivevano e morivano in situazioni estreme, ognuno era costretto a estrarre da sé, se non il peggio, il meglio.

E NON È VERO CHE PROPRIO DI FRONTE ALLA SOFFERENZA LA BONTÀ VIENE A GALLA SE C’È? Al contrario, il benessere ottunde la nostra umanità e ci rende insensibili: la vita e gli uomini si riducono a quel carnevale e a quei pagliacci falsamente allegri che folleggiano per le vie di San Pietroburgo nei giorni in cui Choutov è lì, a simboleggiare l’ideale di felicità della moderna società dei consumi.

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