NOTRE JEUNESSE (1910, “La nostra giovinezza”)

di CHARLES PéGUY (1873-1914 > sul fronte della Marna)

Classificazione: 4 su 5.

“TUTTO COMINCIA IN MISTICA E FINISCE IN POLITICA”

Finalmente una temperatura più sopportabile mi consente di cimentarmi col commento di quest’opera che ho letto due volte di seguito, la seconda stando seduta con tanto di penna e righello in mano, talmente avevo bisogno di concentrazione per capirne i contenuti e lo sviluppo attraverso le parole incendiarie del suo autore, pensatore inclassificabile tra una fede proto-cristiana (non so se questa parola esiste, ma spero che renda l’idea), socialismo e patriottismo (significativamente dedicò un’importante opera a Giovanna d’Arco, la santa guerriera patrona di Francia).

In questo libro Péguy consegna all’eternità della parola scritta “la giovinezza” sua e di tutti gli altri che per tutto il tempo che essa durò si impegnarono nella lotta durissima a favore di Dreyfus perché la giustizia trionfasse sulla ragion di Stato. Una lotta per la verità e non finalizzata a costruirci sopra la propria carriera politica, come fece secondo lui Jean Jaurès, la principale vittima della sua invettiva, del quale a breve comincerò a leggere una biografia, visto che non c’è una città francese in cui una strada non gli sia intitolata. Poi, dal momento che il cuore ha infiniti recessi, si potrebbe anche sospettare lui di gelosia nei confronti di chi dalla lotta per la giustizia ricavò abbastanza notorietà da scalare i vertici della politica, ma … si può far politica – azione politica – rimanendo dei “mistici”, per dirla con Péguy?

Come mostra l’alta valutazione che ho espresso, trovo che questo scritto sia di valore, ma segnalo che la lettura è abbastanza ardua (ma mai noiosa) per due motivi. Innanzitutto per lo stile, estremamente caratteristico: oltre al fatto che il discorso si dipana a spirale, con ritorni su argomenti già avviati, la lingua di Péguy è martellante, tanto che più che leggere un testo scritto sembra di sentire un oratore che ricorrendo a ripetizioni, evidenziazioni, precisazioni infinite come fosse alla ricerca di una parola più giusta o più efficace di quella, anzi quelle, già dette, e modulando la sua voce tra feroce sarcasmo e pathos, voglia scolpire le sue parole nella mente di chi lo ascolti. Ecco, Péguy con le parole colpisce e scolpisce (quest’ultimo è un microscopico esempio degli effetti linguistici, non so quanto traducibili, a cui egli ricorre). E poi per il contenuto, per capire il quale IN MODO NON PARZIALE bisogna conoscere o aver voglia di conoscere:

1. IL CASO DREYFUS (splendidamente raccontato dal regista Polanski nel suo “L’ufficiale e la spia” del 2019), ossia la famosa “affaire” che divise la Francia dal 1894 al 1907, coinvolgendo i rapporti già molto difficili tra Francia e Germania dopo la guerra franco-prussiana del 1870 (nel gennaio del 1871 i vari regni germanici si unificano nell’Impero tedesco), gli alti gradi dell’esercito francese, politica e politici di destra e di sinistra, l’intelligentsia, la stampa e ovviamente l’opinione pubblica.

ECCO L’AFFAIRE DREYFUS IN ESTREMA SINTESI: il capitano Dreyfus, di confessione ebraica e di origine alsaziana benchè avente optato per la Francia nel 1872 dopo l’annessione, è accusato dal Tribunale militare di aver venduto segreti militari ai Prussiani e, processato, viene giudicato colpevole e deportato in Guyana francese. La sua famiglia riesce però a interessare alla sua causa alcuni ambienti politici, giornalistici – primo tra questi Émile Zola, che stranamente Péguy non nomina mai – e persino militari (suggerisco vivamente di leggere la scheda sul colonnello Picquart in wikipedia.fr), i quali acquisiscono elementi comprovanti l’innocenza di Dreyfus e la colpevolezza di un alto graduato, il maggiore Esterhazy, riuscendo infine, tra mille difficoltà, colpi di scena, processi per diffamazione ed esili, ad ottenere un nuovo processo (del Tribunale militare di Rennes). Come si accomoda questa bruttissima vicenda? 1. a conclusione del processo di Rennes nel 1899 Dreyfus è sì nuovamente condannato ma “con circostanze attenuanti” e alcuni giorni dopo riceve la grazia dal Presidente della Repubblica (grazia che lui accetta, con grande delusione di chi, come Péguy, avrebbe voluto non una sentenza di comodo, bensì una sentenza giusta, veritiera) e il 24 dicembre 1900 (!!) il parlamento fa un regalino agli autori del complotto votando una legge di amnistia per cui non essi saranno mai perseguiti. Nel 1903 Dreyfus chiede la revisione del processo di Rennes e la Corte di Cassazione annulla la precedente sentenza, con reintegro di Dreyfus nei ranghi dell’esercito (il quale Dreyfus peraltro revoca l’abbonamento ai Cahiers subito dopo … (della serie “neanche le vittime sono perfette”, per cui ora mi spiego come mai Polanski nel suo film non susciti nello spettatore empatia verso quest’uomo).

2. LA POLITICA INTERNA DELLA FRANCIA IN QUEGLI ANNI. Intanto, dopo la caduta dello sconfitto imperatore Napoleone III nel 1870 e la conseguente annessione di Alsazia e Lorena da parte dei Prussiani, in Francia è proclamata la Terza Repubblica, in cui si succedono per lo più presidenti e governi “repubblicani moderati”, ma con una curvatura verso sinistra all’inizio del ‘900. Ora, come ben sappiamo, quando si parla di politica, le cose sono sempre estremamente intricate, perché i “giochi” politici non sono mai innocenti e nessuna mossa è fine a se stessa né perfettamente coerente coi princìpi (quel che Péguy chiama “la mistica”). Ora, poiché Péguy fa innumerevoli allusioni all’operato di vari politici, se non si conosce l’oggetto delle allusioni la comprensione delle sue parole è parziale, e questo è davvero un peccato (meno male che c’è Internet!). Se avesse sempre citato fatti circostanziati, i lettori di epoche successive, ma probabilmente anche suoi contemporanei, avrebbero capito meglio l’oggetto e le ragioni delle sue accuse, anche per valutarle con cognizione di causa.

PERCHè LEGGERE “NOTRE JEUNESSE”? 1. Perchè leggerlo è una sfida :); 2. perché ci porta dentro una storia che è l’ennesima variante della lotta tra buoni e cattivi o, se si preferisce, tra Antigone e i suoi carnefici, tra ragion di stato e giustizia, storia che peraltro mostra come l’antisemitismo fosse ben radicato nel paese di Libertà Uguaglianza e Fraternità; 3. perché ci dà modo di conoscere personaggi dimenticati quando ancora erano in vita nonostante la loro grandezza (penso a Bernard Lazare, primo redattore di “j’accuse” due anni prima di Zola!); perché ci ricorda come occorra sempre vigilare per non farsi trascinare non solo dal pregiudizio, ma anche – e qui le cose si fanno complicate – LA PIGRIZIA MENTALE CHE CI SPINGE A SCHIERARCI DALLA PARTE DE “I NOSTRI” A PRESCINDERE, a prescindere dalla valutazione della bontà intrinseca delle scelte de “i nostri”. Ecco, Péguy si schiera solo con sé :), però … perché non si esprime in modo più sobrio, invece di cercare di trascinare con la sua vis polemica più che persuadere col ragionamento e coi fatti? E perché non nomina mai Zola, che si era dovuto fare un anno di esilio a Londra per sfuggire al carcere e che per giunta muore in circostanze non proprio chiare? Ne era geloso?

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